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È dall’Intercity 722 che S. ha finito di scrivere l’ultima letteramail su Slowly prima di incontrarla.

Poco prima di dirle, fiato contro fiato, che la amava.

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Era il 31 ottobre del 2020 e l’Italia, per la seconda volta in un anno, si stava scoprendo impotente di fronte a un coronavirus pronto a dilagare. All’orizzonte vi era un periodo di chiusure destinato a protrarsi per mesi, mentre A. e S. si trovavano sul lungomare di due città diverse: a Napoli lei, a Catania lui. Separati da uno stretto, da lembi di terra e da confini sbarrati, stavano per intraprendere quella che all’apparenza non doveva che essere una semplice corrispondenza come tante altre.

Fu lei a trovarlo. Tra una sfilza di profili e un solo filtro affidato a Slowly: che fosse una persona della stessa nazionalità quella a cui scrivere. Considerando i potenziali risultati, l’applicazione dovette metterci del suo per decidere quali profili, algoritmicamente parlando, doveva presentare all’attenzione di A. prima di notificare che “Il numero massimo di risultati è stato raggiunto”. Sapete come funziona, no?

Eppure, fra quel numero limitato di utenti, A. incrociò un avatar e una bio a cui decise di spedire la sua autodefinita “lettera bot”. Non era una lettera disegnata su misura per quel destinatario, l’aveva già usata altre volte ed era stata scritta per descrivere sé stessa e ciò di cui era in cerca: “…avevo bisogno di ritornare a credere che ci fosse qualcosa oltre la coltre di buio che mi circondava. Così sono qui, ora, alla ricerca della mia Milena o della mia Myriam con la stessa passione ardente di chi non si è arreso”.

S. odiava le lettere precostruite e le scartava senza mai rispondere. Eppure quella “lettera bot” non era come le altre, eppure si domandava – Quella ragazza crede di essere un Franz o uno Yair? Chi potrei mai essere io per lei? Ma quanta audacia per una prima lettera!
S. decise di fare uno strappo alla regola e le rispose. Bastò poco, una manciata di lettere o forse le prime due soltanto, per capire che non avrebbe più fatto a meno della sua corrispondenza con A.

Iniziò così una lunghissima serie di scambi di parole, gesti e talvolta di sentimenti condivisi da trasferire lungo viali immaginari fatti di indirizzi email, di playlist collaborative su Spotify, di film e serie da seguire a fianco di una chat. Presero anche a sentirsi su Telegram, in chiamata, in videochiamata. Scelsero un libro da leggere, dei giochi da provare. Cominciarono a scambiare i primi regali, i primi fiori, le prime sorprese e le prime promesse. Attesero l’alba a quattrocento chilometri di distanza, e l’attesero ancora e ancora, mentre quasi ogni sera allo scoccare della mezzanotte si ritrovavano insieme prima di dormire, fosse stato per dieci minuti o per tutte le ore rimanenti prima del mattino. Giunse il primo Natale e loro levarono i calici e brindarono all’unisono, stretti ai loro schermi, mentre osservavano le prime lettere cartacee e i primi oggetti fisici da conservare.

Intanto gli spostamenti tra le regioni continuavano ad essere vietati. Ciononostante, S. ed A. decisero di comune accordo che avrebbero sfidato le restrizioni e i controlli (che pure vi furono!) per potersi finalmente incontrare e sfiorare: era il 17 febbraio quando a Sorrento trascorsero il loro primo weekend insieme, dopo quasi quattro mesi d’attesa. La paura che quel primo incontro fisico potesse alterare gli equilibri del loro rapporto albergava nel cuore di entrambi: e se dal vivo non si fossero trovati a proprio agio? Se i loro caratteri diversi si fossero male amalgamati, se lei avesse trovato lui insopportabile o viceversa? Se non si fossero semplicemente piaciuti? Se la loro corrispondenza fosse svanita nel nulla? Tremavano le mani al pensiero, all’idea che queste domande potessero condurre a un drammatico naufragio delle loro migliori intenzioni, ma nessun timore avrebbe potuto frenarli. Si incontrarono così alla stazione centrale di Napoli, mentre S. scendeva dall’Intercity 722 e A. lo aspettava pensando che forse sarebbe dovuta scappare via.

A. non scappò via e i loro sguardi finalmente si incrociarono per la prima volta. Fu diverso da come se lo aspettavano, lo fu in meglio: tutto più intenso, più magico, più bello. Più reale. Finalmente stavano sotto lo stesso cielo e finalmente le loro mani potevano attorcigliarsi sul serio.

Il distacco, dopo, fu tremendo. Lo sarebbe stato sempre. Eppure sopportarono la distanza nuovamente ricostituitasi, sopportarono ancora un altro mese e mezzo di rigide restrizioni. Si rividero a inizio aprile a Catania, ignorando zone rosse e arancioni e sfidando ancora le regole, dopodiché a Napoli dove condivisero lo stesso tetto per oltre un mese, quindi un altro weekend a Catania a metà giugno. Le letteremail diventarono sempre più microscopiche se raffrontate alla splendida realtà condivisa che stavano vivendo: tra amici da conoscere, posti da visitare, cibo da assaggiare e drink da mandare giù, si andava costruendo una vita che oltrepassava qualsiasi aspettativa contenuta nella lettera bot di A., nei versi che S. le aveva scritto, nelle frasi che si erano dedicati a vicenda prima ancora di vedersi. Insieme sentivano di essere a casa: non perché fosse tutto perfetto, anzi le “appiccicate” erano immancabili fra i loro focosi caratteri sempre pronti a dirsele di santa ragione. Come un liquido infiammabile, la loro corrispondenza ormai ben più che epistolare era un fuoco capace di ardere sopra ogni cosa, nel bene e nel male. Eppure erano a casa, eppure pur senza il bisogno di definirsi una coppia in piena regola, stavano bene insieme in quella corrispondenza trovata tramite Slowly. Per un puro caso forse, o forse no.

Sta di fatto che, sette mesi e tremila letteremail dopo, S. è innamorato di A. ed A. di S.

Con loro scorre un fiume immenso di parole, di sentimenti inesplicabili e di scenari futuri da progettare fuori e dentro le lettere. Rigorosamente assieme, lungo un percorso tratteggiato che fiorisce dal verde degli occhi di lei e risplende nell’azzurro degli occhi di lui. In quell’autostrada si trova il cartello con le indicazioni per tornare a casa. La loro casa.

—–

È alle 2.13 di notte del 17 febbraio che A. ha finito di scrivere l’ultima letteramail su Slowly prima di incontrarlo.

Poco prima di dirgli, in carne e ossa, che lo amava.

P.S. Abbiamo pensato di aggiungere la più recente delle foto che ci ritraggono assieme. S. ha gli occhiali da sole di A., mentre A. cattura come al solito l’attimo (oltre che il cuore di S.).

 

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